martedì 6 marzo 2012

Unfacebook - Il cinema di Claudia 7

Unfacebook - Recensione di Claudia Marinelli


Regia: Stefano Simone
Soggetto: Gordiano Lupi – Tratto dal suo racconto “Il prete”
Sceneggiatura: Dargys Ciberio, Pia Conoscitore, Antonio Universi
Musica:  Luca Auriemma
Montaggio: Stefano Simone
Effetti speciali:  Lorenzo Giovenga e Giuliano Giacomelli
Fotografia: Stefano Simone
Interpreti: Paolo Carati, Giuseppe La Torre, Tonino Pesante, Fabio Valente
Genere: Drammatico - horror
Produzione: Italia 2011
Durata: 75 minuti

Stefano Simone con la macchina da presa

I “social network” sono un fenomeno alquanto recente, ma che ha riscontrato un così grande gradimento da parte del pubblico mondiale che molti si sono interrogati sul loro impatto sulle nostre vite di tutti i giorni e soprattutto su quelle dei più giovani.  Tratto dalla storia breve “Il prete” di Gordiano Lupi, “Unfacebook” è un film inquietante che vuole indagare  sul potere della rete.
Siamo in una cittadina di provincia italiana. Un parroco abbastanza giovane, insegnante di religione in una scuola superiore, ascolta le confessioni dei suoi parrocchiani, e i peccati a lui svelati di certo non sono “veniali”: adulterio, pedofilia, truffa. Il prete sembra stanco e anche arrabbiato da tutte queste rivelazioni e, visto che usa con facilità la rete e che s’interessa di psicologia e d’ipnosi, comincia a contattare in forma anonima i parrocchiani peccatori per inviare loro dei messaggi inquietanti capaci di ipnotizzarli e di privarli della loro volontà. I messaggi sono seguiti da delle telefonate in cui il prete che dice loro una “parola chiave”, che ricorda gli efferati peccati e questi si tolgono la vita nel modo più violento che si possa pensare e che qui non descrivo. La polizia indaga, ma non riesce a trovare indizi validi per giustificare atti così tragici e violenti, oltre a non trovare legami tra i tre suicidi stessi.

Il prete killer

Il prete allora decide di usare i suoi poteri per eliminare dalla cittadina dei comuni criminali o gente che lui cataloga come criminale (tra questi anche un onorevole). Apre un “social network” e attira i ragazzi in rete per farli diventare i paladini della giustizia, attraverso messaggi capaci di ipnotizzarli. I ragazzi rispondono bene agli stimoli inviati dal prete e cadono nella trappola, sono soggiogati, la loro volontà è annientata e uccidono a comando sempre nel modo più violento che si possa immaginare. Un figlio addirittura ammazza il suo stesso padre. La polizia indaga ma brancola nel buio, solo dopo l’ennesimo omicidio il commissario capisce che tutti gli omicidi hanno un denominatore comune: le persone ammazzate sono criminali in libertà: truffatori, spacciatori di droga, pedofili ecc… Il commissario interroga il prete, ma non trova indizi, e continua a indagare. Poi, dopo l’ultimo efferato omicidio, decide di andare in parrocchia, dove non trova il prete, ma solo il suo computer aperto e scopre così le prove che è stato quest’ultimo a manipolare i ragazzi e a ordinare gli omicidi. Il commissario ritorna in caserma e comincia a lavorare al computer, ma non capiamo se stia lavorando per arrestare il prete oppure se lo lascerà fare in quanto, con dei rapidi “flash-back”, si capisce che il commissario stesso da piccolo è stato testimone di un omicidio e forse soggetto a violenze sessuali.

La polizia indaga

La pellicola ha una patina blu che incrementa la sensazione di degrado ambientale dove si muovono i personaggi, aggiungendo inquietudine alla vicenda, lasciando un senso di smarrimento nello spettatore, ma che non aiuta in certe scene alla comprensione delle immagini. La musica tetra è molto adatta al film e accompagna le scene cruciali incrementando l’inquietudine e il senso di attesa che precede ogni omicidio. Gli effetti speciali sono funzionali alla storia e molto eloquenti per farci capire le situazioni, e il film si avvale di un ottimo montaggio. La storia originale di Gordiano Lupi s’incentra sulla figura del prete, che ci viene descritto all’inizio come una persona tutta d’un pezzo, con un’idea della religione “ortodossa”, un solitario e paradossalmente anche idealista che ha studiato informatica e psicologia  in modo approfondito. La squallida realtà della cittadina di provincia, l’ipocrisia dei parrocchiani,  nonché in certi casi la loro cattiveria lo stressano, lo deludono e lo fanno arrabbiare. Deluso anche di se stesso e della sua missione di prete, non regge il confronto con la realtà.  E da portatore di pace e armonia, si trasforma in giustiziere, perché non accetta le debolezze umane, si crede infallibile e puro, e soprattutto ha dimenticato che Cristo ha detto “Chi è senza peccati, scagli la prima pietra”. Ma nella scelta delle sue vittime ad un certo punto commette un errore, che provoca la morte di tre persone innocenti e, non potendo accettare la realtà dello sbaglio, si suicida. Il personaggio è coerente.

Il capo dei Templari

Nel film questa prima parte introduttiva del racconto, che di fatto “spiega” il prete, e pone le basi per la stesura coerente della storia, è troppo sintetizzata. Lo spettatore capisce che il prete è stanco di ascoltare le confessioni dei suoi parrocchiani, che però non vediamo mai assolvere, immaginiamo che sia stressato. Compra delle riviste di informatica e d’ipnosi, ma niente ci fa capire che è un esperto informatico e uno psicologo così bravo da praticare l’ipnosi. Dunque quando i messaggi arrivano alle prime vittime, i suicidi ci sembrano poco credibili. E anche quando arriveranno i messaggi ai ragazzi che  annienteranno la loro volontà al punto tale da farli diventare assassini, uno addirittura ammazza il proprio padre, il comportamento non è convincente. Il film vuole di fatto parlare dell’impatto dei “social network” sulla vita degli adolescenti, e il pericolo che può rappresentare sulle giovani menti, se lo strumento internet viene usato male. Come tematica secondaria il film tratta di criminali mai puniti, che “vivono e vegetano” in libertà, pur commettendo efferati delitti. La figura del prete giustiziere lega le due tematiche. Ma la concatenazione degli eventi e le motivazioni non convincono in pieno. L’ipnosi è usata per giustificare il comportamento dei suicidi e degli adolescenti, ma sembra una soluzione abbastanza semplicistica, anche perché l’ipnosi, se si chiede a specialisti, non toglie la coscienza e soprattutto non toglie i ricordi, tanto che viene appunto usata come terapia per far ricordare a dei pazienti dei traumi rimossi. Forse gli sceneggiatori potevano indagare meglio sull’effetto dei messaggi sublimali, o qualche altro modo per convincere gli adolescenti ad ammazzare, ad esempio indagare sulla fragilità degli adolescenti stessi e le ragioni della loro fragilità. Il cinema non deve essere reale, ma deve essere plausibile, se no lo spettatore non ci si identifica. È troppo facile per questo prete manipolare le menti, così facile che non è credibile, e se non è credibile il personaggio principale lo spettatore mette in dubbio tutta l’ambientazione e il concatenarsi degli eventi. O forse la trama poteva essere corredata da un elemento “fantastico” che poteva giustificare il potere del prete stesso. Ma il film non ha elementi fantastici.

A proposito di violenza...

Inoltre alcune scene sono molto crude, gli omicidi son ben descritti, ma proprio difficili da guardare. Ma la magia del cinema non risiede forse nel suo grande potere di suggestione? Perché usare la violenza nuda e cruda? Certo è usata anche da grandissimi registi, ma ci siamo mai domandati il perché? Ed è giusto che venga usata così? E sopratutto è utile? In questo film secondo me no.  Il regista e gli sceneggiatori avrebbero potuto dire le stesse cose senza scene di violenza così efferate. E mi son domandata: perché le hanno inserite? Anche nel racconto di Gordiano Lupi c’è la descrizione dei suicidi e degli omicidi, ma sono  molto meno dettagliati, e si riescono a leggere. Qui le scene sono difficili da sopportare. Che la violenza piaccia, non lo metto in dubbio, visto il successo di alcuni film violenti e di alcune trasmissioni televisive.  Che paghi in termine di ascolti e di danaro, sicuramente! Ma che sia bella, credo proprio di no. Il cinema è arte, e l’arte dovrebbe rispettare anche certi canoni di “bellezza”.  E non concordo con chi mi obietterà che “è bello ciò che piace”, perché vedere una persona che da sola si taglia i genitali, è un’esperienza deprimente e angosciante, e sopratutto inutile. 

Ancora immagini forti...

Il giovane regista, Stefano Simone  ha appena ventisei anni, ma dimostra di saper stare dietro a una macchina da presa, non è mai approssimativo o superficiale. Il regista è colui che ha in mano una storia e decide il come raccontarla. Penso che Stefano Simone abbia idee molto chiare sul come si raccontino le storie: le inquadrature ravvicinate, i primi piani, il come far muovere i personaggi, le giuste angolazioni sono tutte volte a suggerire nello spettatore l’inquietudine che pervade la pellicola. Possiamo solo augurarci che con il tempo, continuando a dirigere altri film, il regista possa crescere, maturando e diventando un nome  nel panorama del cinema italiano odierno.  

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