lunedì 7 gennaio 2013

Bellezze in bicicletta (1951)

di Carlo Campogalliani


Regia: Carlo Campogalliani. Soggetto e Sceneggiatura: Vittorio Metz, Marcello Marchesi, Mario Amendola, Carlo Campogalliani. Fotografia: Mario Montuori e Fernando Risi. Montaggio: Fernando Tropea. Scenografia: Alfredo Montori. Musiche: Amedeo Escobar. Produttore: Alessandro Di Paolo. Casa di Produzione e Distribuzione: Edic. Interpreti: Silvana Pampanini, Delia Scala, Franca Marzi (doppiata da Tina Lattanzi), Peppino De Filippo, Renato Rascel, Aroldo Tieri, Virgilio Riento, Renato Valente, Carlo Ninchi, Carlo Croccolo, Luigi Pavese, Arnoldo Foà, Nerio Bernardi, Nico Pepe, Dante Maggio, Carlo Romano, Elvio Calderoni, Oscar Andriani, Mara Morgan, Dino Valdi, Amedeo Trilli, Domenico Serra, Lita Perez, Amina Pirani Maggi, Totò Mignone, Vittorio Duse, Ignazio Balsamo. 


Carlo Campogalliani (1885 - 1974) è un regista storico del cinema italiano, figlio di girovaghi, autodidatta, prima scenografo, poi attore di teatro. Comincia a occuparsi di cinema nel 1909, come interprete di Re Lear di Giuseppe De Liguoro. Regista popolare come pochi, frequenta i generi di maggior successo del periodo muto, soprattutto avventuroso e peplum con il personaggio di Maciste. Letizia Quaranta è la sua protagonista prediletta, finisce per diventare sua moglie, compagnia sul set e nella vita. Lavora in Francia, Sudamerica, Germania, ma resta attivo in Italia anche dopo l’avvento del sonoro, dirigendo anche due film interpretati da Ettore Petrolini. Il suo cinema del dopoguerra segue i gusti del pubblico di bocca buona, frequenta il neorealismo rosa, anticipa il musicarello, torna al mitologico con i vecchi Maciste e Ursus. Attivo fino al 1961, muore nel 1974, a Roma, dopo aver attraversato tanti periodi del cinema italiano. (Per approfondire: Roberto Poppi - I Registi Italiani - Gremese).


Bellezze in bicicletta (1951) è una commedia sentimentale di grande successo popolare, seguita da Bellezze in motoscooter (1952), una sorta di sequel per sfruttare il fenomeno commerciale. Il regista firma la sua opera più nota del dopoguerra alla veneranda età di 66 anni, da consumato autore di melodrammi e storie romantiche. La trama si sviluppa attorno alle vicissitudini di due ballerine squattrinate come Delia Scala e Silvana Pampanini (recitano con i veri nomi come se interpretassero loro stesse) che da Milano si recano a Bologna per cercare di essere scritturate da Totò. Un blocco stradale interrompe il viaggio, l’intraprendente e ricco Giulio (Valente) invita le due ragazze a salire sulla sua auto di grossa cilindrata. Le due ragazze accettano il passaggio, ma Giulio, invaghito di Silvana, tenta di baciarla, provocandone la reazione negativa e la decisione di scendere dall’auto. Le ragazze finiscono in una casa di campagna, credono di avere a che fare con un malvivente, e nottetempo scappano per raggiungere Totò. Altro malinteso: Totò non è lui, ma un mistificatore (Valdi), le ragazze fuggono di nuovo, vestite da ballerine, e vengono nascoste in una caserma da uno sciocco soldato (Croccolo).


A un certo punto Delia e Silvana prendono a nolo due biciclette e proseguono il viaggio alla volta di Bologna intonando la famosa canzone Bellezze in bicicletta. Giulio le raggiunge ancora una volta, fa pace con loro, le invita a cena e le sottrae dalle grinfie di un imbranato meccanico (Rascel) che smonta pezzo per pezzo le biciclette. Aroldo (Tieri), geloso fidanzato di Delia, convinto che Giulio stia per farlo cornuto, fa a botte con il rivale, ma quando comprende la situazione diventa suo amico. Tutto finisce con una corsa in bicicletta organizzata dal padre di Giulio (Romano), una sorta di tappa del Giro d’Italia al femminile, da Bologna a Milano, che le due ragazze vincono e finiscono per sposare i rispettivi fidanzati.


Il film è da ascrivere al filone del neorealismo rosa, va preso per quel che è, senza pretese da commedia all’italiana, ancora lontana da venire. I personaggi sono macchiette stereotipate, mentre le inquadrature dell’esperto Campogalliani cercano di evitare immagini di macerie e distruzione. Una fotografia in bianco e nero da cartolina ritrae un’Italia che sta ripartendo, dove tutto va bene, popolata da giovanotti ricchi che girano su auto costose e da ragazzine romantiche che pensano solo al matrimonio. Sono ottime le ambientazioni cittadine, le sequenze nelle campagne bolognesi e le scene al Giro d’Italia, con la gente accalcata ai bordi delle strade per incitare i campioni. Le parti comiche sono ben fatte, anche perché interpretate da attori del calibro di Peppino De Filippo, Carlo Croccolo, Renato Rascel, Dante Maggio, Aroldo Tieri e Arnoldo Foà. Divertente la scena che si svolge in una presunta casa stregata dove due ladri imbranati come De Filippo e Maggio finiscono per scappare impauriti dalle presenze di Pampanini e Scala. Grande Renato Rascel come figlio di un meccanico che ne combina di tutti i colori smontando prima le biciclette di Delia e Silvana e subito dopo il motore dell’auto di Giulio.


Si tratta di un film a episodi mascherato, un contenitore di sketch, comicità da avanspettacolo firmata dalla coppia Metz - Marchesi e da un giovane Amendola. La pellicola è briosa, elegante, tiene desta l’attenzione dello spettatore nonostante una trama irrilevante, grazie alla comicità e alle grazie discinte di due soubrette popolari come Delia Scala e Silvana Pampanini. L’esperto Campogalliani, inoltre, anticipa la commedia balneare e sfrutta l’escamotage della gara ciclistica femminile per mostrare un po’ di gambe a un pubblico non troppo abituato a simili visioni. Bellezze in bicicletta piace ancora oggi, non risulta invecchiato, proprio per la sua ingenuità di fondo, per l’irreale ottimismo di cui è permeato, per quel suo essere una pellicola fuori dal tempo e dalla storia. Il motivetto della colonna sonora di Amedeo Escobar è un successo epocale che sarà cantato per anni da tutti gli italiani. Tutti noi, nati verso la fine degli anni Cinquanta, abbiamo sentito la madre o la nonna intonare: “Ma dove vai bellezza in bicicletta?”.
Riportiamo alcuni giudizi critici.


E. Fecchi, da Intermezzo (N. 5, 15 marzo 1951): “Se tutto il film si fosse mantenuto sullo stesso ritmo del primo tempo, sarebbe stato un piccolo capolavoro. Ci sono un brio e una ricerca intelligente di gag che non abbiamo riscontrato in altre pellicole; c’è una logica, il che, anche per un film brillante è indubbiamente un pregio. Ci sono due nostre giovani attrici che hanno dato veramente prova di maturità (...). Nel secondo tempo c’è l’infelice episodio di Maggio e Peppino De Filippo, che avrebbe dovuto essere sforbiciato senza pietà”. Non condividiamo l’opinione sferzante sulla scena comica di De Filippo - Maggio, fresca e piena di brio, così come crediamo che il livello dei due segmenti di pellicola non sia disarmonico. Segnalazioni cinematografiche (vol. 29, 1951): “Il lavoro non ha pretese artistiche, ma, condotto con brio, è animato dalla recitazione di valenti artisti della rivista e del teatro comico”.


Pino Farinotti concede tre stelle senza motivare. Morando Morandini due stelle di critica e tre di pubblico: “Senza pretese, ma brioso. Interessante documento di un’epoca che sembra lontanissima”. Paolo Mereghetti (una stella e mezzo) è il meno entusiasta: “Commediola all’acqua di rose con intermezzi canori della Pampanini sui temi tipici dell’Italia povera, elogio della bicicletta e bisogno della dote su tutti”. 

Per vedere alcune sequenze:


La popolare canzone


Dino Valdi imita Totò

Gordiano Lupi

Nessun commento:

Posta un commento