venerdì 23 agosto 2013

Nonhosonno (2001)



di Dario Argento
 

Regia: Dario Argento. Soggetto: Dario Argento, Franco Ferrini. Sceneggiatura. Dario Argento, Franco Ferrini, Carlo Lucarelli. Montaggio: Anna Rosa Napoli. Fotografia: Ronnie Taylor. Effetti Speciali: Sergio Stivaletti. Musiche: Goblin. Scenografie: Massimo Antonello Geleng. Costumi: Susy Mattolini. Trucco: Alfredo Marazzi, Graziella Tosti. Produzione: Dario Argento, Claudio Argento (Produttore Esecutivo). Case di Produzione: Medusa, Opera Film, in collaborazione con Tele Più. Durata: 112’. Genere: Thriller. Interpreti: Max Von Sydow (doppiato da WalterMaestosi), Stefano Dionisi, Chiara Caselli, Roberto Zibetti, Paolo Maria Scalondro, Gabriele Lavia (doppiato da Rodolfo Bianchi), Roberto Accornero, Rossella Falk, Barbara Lerici, Guido Morbello, Massimo Sarchielli, Diego Casale, Alessandra Comerio, Elena Marchesini, Aldo Massasso, Barbara Mautino, Linda Giumento, Elisabetta Rocchetti, Conchita Puglisi, Brian Ayres, Daniele Angius, Robert Camerio, Claudio Coreno, Luca Fagioli, Daniela Fazzolari, Aldo Delaude, John Pedeferri, Francesco Benedetto, Renato Liprandi, Antonio Sarasso, Piero Marcelli, Rossella Lucà, Giuseppe Minutillo, Giancarlo Colia, Francesca Vettori, Antonio Rec.
 
  Stefano Dionisi e Chiara Caselli

Nonhosonno è un ottimo thriller orrorifico a tinte forti, ricco di effetti speciali, ambientato a in una Torino cupa e notturna, che a tratti ricorda (volutamente) Profondo rosso (1975). 
 
 Max Von Sidov

Raccontiamo la trama. La prima scena ci porta a Torino, nel 1983. Vediamo il commissario Moretti (Von Sydow) accanto a Giacomo, che ha assistito inerme alla barbara uccisione della madre da parte di un sadico killer, ma non l’ha visto in volto. Eccessivo l’omicidio, in puro stile Argento - Stivaletti: un corno inglese usato per sfondare la trachea della donna. Salto temporale di diciassette anni. Il killer - chiamato il nano assassino - non è morto come si pensava, ma torna a colpire, uccidendo due prostitute. Il vecchio commissario Moretti è in pensione ma si occupa del caso insieme a Giacomo (Dionisi), che torna a Torino per capire chi ha ucciso sua madre. Riprendono gli omicidi, tutti bizzarri, e il commissario si rende conto che seguono le strofe di una vecchia filastrocca, ripresa da La fattoria degli animali e contenuta nel libro scritto dal presunto killer (La fattoria della morte), che era un autore di gialli. Il colpevole, come regola, è il meno prevedibile, dopo che il regista ci ha fatto sospettare di tutti, persino del fantasma del vecchio killer (il nano Vincenzo), un fantoccio esposto dal barbone Leone (Sarchielli) alla finestra. Muoiono il commissario per un attacco cardiaco, la madre di Vincenzo, dopo aver confessato che il figlio non si era suicidato ma era stata lei a ucciderlo per liberarlo, infine l’avvocato Betti (Lavia), il padre di Lorenzo (Zibetti), che era il più indiziato. Il killer psicopatico è proprio Lorenzo, amico d’infanzia di Giacomo, non era un nano a uccidere ma un ragazzino schizofrenico, protetto dal padre, che per non farlo scoprire l’aveva mandato all’estero per diciassette anni. Lorenzo aveva sfruttato il nano Vincenzo, incolpandolo dei suoi delitti, utilizzando le idee che il primo scriveva sui libri. 
 

Nonhosonno presenta molte analogie con Profondo Rosso. Gabriele Lavia (avvocato Betti, padre di Lorenzo) è ancora una volta il presunto colpevole e recita identica battuta, nel solito modo (“È tutta colpa tua!”). Lavia, in Profondo rosso era il figlio che proteggeva la madre assassina, qui è il padre che protegge il figlio serial killer. Argento gira di nuovo una lunga scena al Teatro Carignano: l’omicidio della ballerina che interpreta il canto del cigno. Unica eccezione con la restante opera di Argento, al punto che era diventata una sorta di stile, una firma d’autore: non è lui a guidare l’assassino, non indossa i guanti, non sono sue le mani che uccidono. In compenso presta la sua voce in falsetto all’assassino quando da sotto le coperte dice: “Ne ho ammazzate tante… tante… tante…”.   
 
 il disco dei Goblin

Nonhosonno ha il limite di essere la solita storia sul killer psicopatico che uccide, ma presenta molti elementi di originalità e alcune sequenze girate in maniera perfetta. La tensione è sempre ai massimi livelli e non ci sono cali di suspense. La lunga scena a bordo del treno con il massacro delle due prostitute è da antologia del brivido, una delle migliori cosse girate nel campo del cinema thriller. Soggettive della vittima e dell’assassino si alternano in un crescendo angoscioso e claustrofobico. Il terrore della donna è palpabile e conduce a un’inevitabile finale gore con il taglio del dito e l’efferata uccisione. Molto eccessivo anche il delitto della prostituta in attesa del treno, trucidata nella sua auto, sotto gli occhi di un ubriacone.  Le soggettive si sprecano, ma non sono mai inutili, anzi, servono a costruire un clima di terrore e di tensione narrativa. 

 
Altro delitto ben costruito vede una donna affogata nell’acqua con il taglio delle unghie dopo morta. Non sono da meno il delitto in ascensore con la testa schiacciata alla parete e i denti che schizzano fuori dalle gengive. Una ballerina viene decapitata e muore come un cigno durante le prove per il balletto, in una sequenza stupenda che vede i piedi rialzati da terra in un terminale gesto danzante. Gli ultimi omicidi sono efferati ma più ordinari, a parte una trapanazione del cranio con una penna stilografica. Il killer muore cadendo dal finestrone proprio mentre arriva la polizia, che scopre i reperti dei vecchi delitti e i corpi trucidati del padre e di Leone. Originali i titoli di coda che scorrono mentre il regista imposta le sequenze finali. Alcuni flashback riportano al passato, il ragazzo ricorda la morte della madre con tutte le orribili sequenze della morte. 
 
 
Le parti con il nano fantasma  sono ottime, ricordano Profondo rosso e i pupazzi animati di cui Argento ama circondarsi. Non mancano i giochi dei bambini, il suono di un carillon, le filastrocche, la musica intensa dei Goblin, che cercano di citare il loro capolavoro. Ottimi gli attori, cosa insolita in un film di Argento. Max Von Sydow (1929) è il migliore, nei panni di un compassato commissario perseguitato da insonnia e vuoti di memoria. Tutti ricordano lo svedese come attore feticcio di Ingmar Bergman e per la sua grande interpretazione ne L’esorcista (1973) di William Friedckin. Rossella Falk (1926 - 2013), recentemente scomparsa, è una perfetta madre del presunto assassino, angosciata e preoccupata per la sorte del ragazzo deforme. Gabriele Lavia (1942) è intenso attore teatrale e regista di alcuni interessanti film erotici interpretati dalla compagna Monica Guerritore. La sua presenza è un elemento di continuità con Profondo rosso (1975) e con Inferno (1980). Non si vede molto, ma recita la sua parte con efficacia. Stefano Dionisi e Chiara Caselli sono diligenti, belli a vedersi, ma non entusiasmano, anche se interpretano una credibile scena erotica prima della sequenza decisiva. Il peggiore del cast è Roberto Zibetti, un killer troppo impostato; la colpa non è tutta sua, ma anche delle banalità che la sceneggiatura gli impone di pronunciare in una scena finale che non è indenne da pecche. 
 

 Altri pregi del film: un’intensa fotografia (Ronnie Taylor) - soprattutto notturna - di Torino, ripresa sotto la pioggia, in stazioni deserte e quartieri periferici, con la Mole Antonelliana sempre sullo sfondo. Terzo film di Argento con Ronnie Taylor, uno dei più importanti esponenti della fotografia inglese, che risolve il problema più grande: girare quasi venti minuti a bordo di un treno. Ottime le scenografie di Antonello Geleng, ma non sono da meno trucco ed effetti gore a cura di Sergio Stivaletti. I Goblin, guidati da Claudio Simonetti, ci regalano alcuni pezzi interessanti. Il complesso è composto anche da massimo morante, Fabio Pignatelli e Agostino Marangolo. Nelle sequenze musicali del film vediamo impegnato anche il gruppo torinese dei Miu - Miu. Asia Argento scrive la filastrocca (originale) che ispira l’omicida.
 

Rassegna critica. Paolo Mereghetti (una stella e mezzo): “Argento sembra aver dato ascolto ai suoi fan, tornando al genere che gli è riuscito meglio: il thriller con colpi di scena e tanti ammazzamenti. Di fatto gira una specie di remake di Profondo rosso,con qualche citazione di Tenebre nelle tecniche degli omicidi (gore ma non troppo grazie agli effetti di Sergio Stivaletti), confermando una mancanza d’ispirazione che mette malinconia. Oggi, poi, non c’è neanche più la tecnica (malgrado la fotografia di Ronnie Taylor); le musiche dei Goblin sono fiacche e risultano più che mai evidenti le inverosimiglianze della sceneggiatura, il ridicolo involontario dei dialoghi, la mancanza di una direzione degli attori”. Non concordo su niente, ma riporto il giudizio dell’illustre critico per dovere informativo. Morando Morandini (due stelle per la critica, tre stelle per il pubblico): “Sceneggiatura sghemba per tornare agli inizi con un thriller a enigma, pur non rinunciando all’abituale eccedenza di ammazzamenti (una dozzina abbondante), tutti mostrati con la solita efferatezza di particolari gore. È un film di paura che ha l’imperdonabile torto di far ridere per i dialoghi maldestri, la logica latitante. All’attivo almeno due sequenze e la cornice di Torino. Ingombrante la musica dei Goblin”. Valutazione più accettabile, ma non condivisibile. Pino Farinotti conferma le due stelle: “Storia complicatissima, con il rito della morte troppo frequente. Certo, funziona, ma un po’ a buon mercato”. 
 

I critici “alti” rimproverano a Dario Argento un eccesso di ammazzamenti, chi conta dodici, chi quindici omicidi, affermano che si tratta di un rituale furbo, tradizionale, eterno, senza rendersi conto che è soltanto uno stile. Un film di Argento si riconosce anche da questo, per il confine labile tra thriller e horror, per gli eccessi splatter e gore, con buona pace degli esteti e dei critici con l’idiosincrasia per gli italiani che fanno horror. Dario Argento dà il giudizio più obiettivo: “Il film ha una partenza sprint che dura tantissimo. I primi venti minuti sono fortissimi, quasi insostenibili. Mi pento di non aver fatto un finale altrettanto forte. Credo che quella partenza avrei dovuto sfruttarla per il finale”. (Dario Argento - Libro intervista a cura di Fabio Maiello, Alacran). La scelta di Torino: “Conosco Torino come se fosse la mia città. Non mi servivano soltanto gli appartamenti belli ed eleganti, ma anche posti periferici abitati da povera gente. Per esempio la zona residenziale degli ex operai della Fiat. Per trovare la villa ho dovuto girare parecchio. In studio ho girato pochissime scene, tra cui quella finale”. 
 

Nonhosonno vale tre stelle, non fosse altro per un inizio sfolgorante, intenso, insostenibile. I primi due delitti e l’inseguimento sul treno valgono da soli il prezzo del biglietto.



Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi

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