mercoledì 12 marzo 2014

La lupa mannara (1976)


di Rino Di Silvestro 

Regia: Rino Di Silvestro. Soggetto e Sceneggiatura: Rino Di Silvestro. Montaggio: Angelo Curi. Fotografia: Mario Capriotti. Produzione. Ego Alchimede per Dialchi Film srl. Distribuzione: Ginis Films. Direttore di Produzione: Bruno Evangelisti. Musiche: Coriolano Gori (dirette dall’autore - Nazionalmusic). Interpreti: Annik Borel, Tino Carraro, Dagmar Lassander, Howard Ross (Renato Rossini), Frederick Stafford, Elio Zamuto, Andrea Scotti e Salvatore Billa, Osvaldo Ruggieri. Titoli esteri: Werewolf woman (Internazionale), Naked Werewolf woman (UK), La louve sanguinaire (Belgio), La louve se dechaine (Francia), Aullidos de terror (Spagna), La loba (Venezuela), Terror of the she-wolf o The Legend of Wolfwoman (USA). 


Rino Di Silvestro (1932 - 2009) è un autore di teatro che scrive sceneggiature e soggetti per il cinema, debutta alla regia nel 1973 con Diario segreto di un carcere femminile e prosegue girando alcune pellicole non eccelse, sempre caratterizzate da originalità e spirito trasgressivo. Marco Giusti scrive che Rino Di Silvestro fa cinema estremo, folle, maniacale ed è l’unico critico cinematografico a ricordare la sua scomparsa sulla rivista Nocturno del novembre 2009. La lupa mannara (1976) è il suo unico horror, firmato con lo pseudonimo di Alex Berger. 
 
Il clima è da thriller psicologico. Daniela (Borel) è stata violentata da adolescente, inoltre è tormentata dal ricordo della leggenda di un’antenata che nelle notti di plenilunio diventava una lupa mannara. L’antefatto mostra un rito sensuale con la Borel all’interno di un cerchio magico fatto con il fuoco che si trasforma in lupa mannara con il naso simile a quello di un cane. La trasformazione è molto trash, vediamo una donna dal pelo rossiccio con i denti aguzzi che sbava come un’indemoniata. Si tratta della contessa Daniela, antenata della ragazza, che al culmine di una scena splatter uccide un uomo e lo divora. I contadini inferociti la mettono al rogo come se fosse una strega. Si torna ai tempi moderni e sembra che l’antefatto sia stato soltanto un incubo di Daniela, ma non è così, perché la ragazza manifesta subito gravi problemi psichiatrici. La violenza carnale subita da bambina e l’attrazione-repulsione per l’altro sesso scatenano una licantropia nervosa che porta la ragazza a compiere atti efferati. 
 
La prima vittima è il fidanzato (Elio Zamuto) della sorella (Dagmar Lassander), concupito, azzannato alla giugulare e fatto precipitare in un burrone. Il film prosegue in un ospedale psichiatrico dove la ragazza miete altre vittime tra cui una paziente lesbica e una dottoressa. La fuga di Daniela dalla clinica trasforma il film in una specie di poliziesco con un commissario (Frederick Stafford) che indaga sulle atroci morti e cerca di catturare la lupa mannara. La ragazza si crede la reincarnazione dell’antenata e dopo la fuga azzanna alla giugulare e divora chi incontra sul suo cammino. Tra una sequenza erotica e una splatter, Di Silvestro avvicina lo stile della propria pellicola a quello di Love Story (Arthur Hiller, 1971), per raccontare l’amore tra la ragazza e un singolare cascatore del cinema (Howard Ross).


L’istinto bestiale da lupa mannara sembra vinto dall’amore, ma una nuova violenza carnale subita per opera di tre pregiudicati fa precipitare la situazione. La scena dello stupro sulle scale dell’abitazione è molto verosimile, il terrore della ragazza è palpabile e le sequenze sono filmate con crudo realismo. La vendetta della lupa mannara sarà terribile: in uno sfasciacarrozze schiaccerà due di loro con il gancio di una gru, mentre l’omicida del compagno morirà bruciato vivo. Il finale è privo di suspense, perché il commissario ha un’intuizione geniale e arriva alla cattura della lupa che si era nascosta nel bosco. Tutto molto prevedibile. 

La lupa mannara presenta motivi di interesse, anche se è inutile nascondere che si tratta di un lavoro modesto e ai limiti del trash. Di Silvestro gira una serie di assurdi primissimi piani alla Jess Franco, inserisce lunghi dialoghi retorici e una serie di spiegazioni medico-scientifiche non richieste, che sembrano trattare lo spettatore come un bambino scemo. La recitazione è pessima, ma soprattutto la protagonista è improponibile, né sexy né spaventosa come lupa mannara, è un mix di comicità involontaria sia quando fa l’amore che quando azzanna le vittime. Dagmar Lassander si mostra a suo agio in diverse scene di nudo che Di Silvestro filma in maniera ginecologica, da regista hard. Molte sequenze ricordano il cinema di Joe D’Amato, tra voyeurismo, masturbazioni femminili ed erotismo spinto. 
 
Lo splatter non manca, va a braccetto con un erotismo estremo, ai limiti del porno, al punto di rendere evidente l’indecisione del regista su quale strada prendere. In alcune sequenze la lupa mannara sembra un’indemoniata, apprezziamo citazioni de L’esorcista, ma subito dopo il regista riconduce il lavoro verso canoni più ordinari e inserisce l’eccidio a forbiciate di una degente al termine di una sequenza lesbica. Molte scene di fellatio risultano sfumate al momento giusto, ma lasciano il dubbio che dello stesso film esista una versione porno, perché lo stile è molto esplicito.  
 
La lupa mannara è un film estremo, girato con pochi soldi, interpretato in maniera approssimativa e infarcito di citazioni cinematografiche. Howard Ross è un personaggio prelevato dal mondo del cinema, perché è un cascatore che vive in un singolare villaggio concepito come un finto Far West. La scena dello stupro all’interno della casa ricorda e identiche sequenze di Cane di paglia (1971) di Sam Peckinpah, ma indugia molto di più sugli aspetti pornografici. Un film modesto, anche se Di Silvestro si vanta di aver raccontato scientificamente la licantropia. “La protagonista del film doveva essere una donna realmente in grado di calarsi in una licantropa… Annick Borel, non truccata, era incredibilmente simile a un lupo. La trovai in Svizzera, era un’aspirante attrice amica di un produttore. Le feci un provino e scrissi la sceneggiatura apposta su di lei…”, confida il regista a Nocturno


Interessanti molti dettagli splatter alla Lewis e il divertente trucco da lupo della protagonista, ai limiti del trash. Annik Borel è sparita nel nulla dopo un film che possiede momenti di comicità involontaria, soprattutto quando mostra la ragazza con naso da cane, peli rossi sul corpo e calzamaglia marrone. Nanni Moretti cita con disprezzo La lupa mannara in una sequenza di Io sono un autarchico (1976), come esempio di film orribile che sceglie di andare a vedere. Delirium adora la pellicola: “Joe D’Amato o Jess Franco non avrebbero saputo fare di meglio”. Il mondo è bello perché è vario. Roberto Cozzuol nel gruppo face book Film Italiani: “La Lupa Mannara si può definire come un horror particolare, con tutto ciò che ne consegue. Senza dubbio con molti difetti e lontano dall’essere un bel film, ma se non altro dotato di qualche buona idea che riesce a farlo stare un po’ a galla. Gli appassionati potrebbero anche farci un pensierino”. Pino Farinotti concede una misera stella e racconta la trama riducendola ai minimi termini. 
 
Mereghetti conferma la stroncatura (una stella): “Un pastrocchio indigeribile tra dettagli splatter e gaglioffe scene di sesso. Ha immeritata fama di cult”. Marco Giusti (Stracult) aggiunge: “Stracult horror involontariamente comico… uno psicanalitico - femminista che sconfina nel fantastico”. A nostro parere il film è horror fino a un certo punto e il suo motivo di maggior interesse sta nella contaminazione dei generi, dallo splatter al rape and revenge, passando per erotico, porno - soft, poliziesco, condito da vaghi accenni di esorcistico e di love story


Nessun commento:

Posta un commento