giovedì 28 maggio 2015

Sistemo l’America e torno (1974)

di Nanni Loy


Regia: Nanni Loy. Soggetto: Piero De Bernardi, Leo Benvenuti. Sceneggiatura: Piero De Bernardi, Leo Benvenuti, Nanni Loy. Fotografia: Sergio D’Offizi. Montaggio: Franco Fraticelli. Musiche: Luis Enríquez Bacalov. Scenografia. Aurelio Crugnola. Distribuzione: Titanus. Durata: 106’. Genere. Commedia - Drammatico. Interpreti: Paolo Villaggio, Sterling Saint-Jacques, Armando Brancia, Alfredo Rizzo, Rita Savagnone, Christa Linder, Carla Mancini, Fernando Cerulli, Nello Pazzafini, Jeff Brown.


Sistemo l’America e torno (1974) è una spietata analisi del razzismo negli Stati Uniti, sceneggiata da regista con la collaborazione di Piero De Bernardi e Leo Benvenuti. Un impiegato di Busto Arsizio (Villaggio) si reca negli Stati Uniti per scritturare Ben Ferguson, un giocatore di colore di basket (Saint-Jacques) per la squadra aziendale, guidata da un ricco e arrogante imprenditore (Rizzo). Il cestista milita nel movimento antirazzista delle Black Power, si fa notare per dimostrazioni e proteste anche durante le gare. Inoltre pare non avere nessuna voglia di venire in Italia, porta il povero Villaggio a vagare per gli Stati Uniti mentre ritarda con diverse scuse la partenza. Commedia all’italiana insolita per lo sguardo impietoso sugli Stati Uniti, che vede un Paolo Villaggio in gran forma interpretare un ruolo diverso, prima da provinciale alla scoperta di un nuovo mondo, infine protagonista di un’impensabile tragedia. 



Impegno politico notevole, a tratti persino eccessivo, sia per lo sviluppo che per il finale imprevedibile e cruento, ma un certo modo di affrontare i problemi da parte degli intellettuali era figlio dei tempi. Amiamo di più il Nanni Loy di Detenuto in attesa di giudizio e Caffè Express, ma Sistemo l’America e torno resta un’interessante pellicola on the road, girata in presa diretta, con stile documentaristico e da reportage, che porta alla scoperta di New York, Detroit, Reno, New Orleans, Miami e Atlanta. Proprio in quest’ultima città il giocatore disputerà l’ultima partita con la sua squadra, ma non partirà per l’Italia perché la protesta inscenata insieme ai compagni di colore gli costerà la vita. Finale tragico con Villaggio che torna in Italia e a bordo dell’aereo piange per la morte del giocatore, ormai diventato suo amico.


Un film non molto uniforme, a volte ripetitivo, ma interessante per il tentativo di capire la società nordamericana e il razzismo, superando facili stereotipi. Il viaggio che il giocatore fa compiere a Villaggio diventa una sorta di itinerario spirituale alla scoperta di una cultura ignota, tra mostre d’arte afroamericana, movimenti politici di protesta, aggressioni a ricchi imprenditori e partite di basket ben ricostruite. La scoperta straordinaria e sconvolgente sarà quella di trovarsi di fronte a una società razzista con una polizia ostile alla parte nera della popolazione e un’evidente segregazione razziale, persino in ambiente scolastico e ospedaliero. Nanni Loy affronta il problema della marginalità dei neri, il degrado degli ambienti in cui vivono, la diffidenza dei bianchi, la disoccupazione e i quartieri fatiscenti dove vengono confinati. Altra accusa importante: i neri vengono considerati solo nel mondo dello sport dove sono utili per vincere competizioni e aggiudicarsi medaglie. 


Se le cose sono cambiate - anche se momenti di razzismo di tanto in tanto affiorano - il merito è stato anche di simili operazioni intellettuali. Niente da dire sulla tecnica. Fotografia sporca, macchina a mano, zoom usato con proprietà, piani sequenza poetici, stile da film inchiesta. Villaggio è bravissimo, un anno primo del successo fantozziano e ancora attore poco noto al grande pubblico. Meno bravo Sterling Saint-Jacques, attore di modeste qualità, mentre il resto del cast è pura coreografia. Il finale è un trionfo della commedia all’italiana, che racconta la vita e non è soltanto farsa, ma vive di momenti drammatici intensi. La denuncia non è mai di maniera e non scade nella macchietta pietosa e compassionevole.


La critica. Morando Morandini (due stelle e mezzo - tre per il pubblico): “Commedia all’italiana in trasferta USA con esplicito impegno politico, guidato da un Loy scombinato ma efficace. Paolo Villaggio è in gran forma. Insolito sguardo sull’America”. Pino Farinotti concede tre stelle limitandosi a sintetizzare la trama. Paolo Mereghetti (una stella e mezzo): “Il vecchio motivo del provinciale nel nuovo mondo è alla base di un ibrido che indugia nel reportage sensazionalistico e poi scivola nella tragedia. Messaggio politico progressista molto forzato, ma che allora andava di moda”.


Approfittiamo per ricordare in sintesi la carriera di un nostro importante regista abbastanza dimenticato. Nanni Loy (Cagliari, 1925 - Fregene, 1995) si laurea in giurisprudenza, frequenta il Centro Sperimentale Cinematografico e si diploma in regia. I suoi primi lavori sono cortometraggi (Pittori davanti allo specchio, Dipinti biografici), apprendista a bottega di buoni registi (soprattutto Luigi Zampa) e dal 1949 al 1953 aiuto sul set di alcune pellicole: La figlia del mendicante, Africa sotto i mari, Il capitano di Venezia, Amo un assassino, Camicie rosse, Processo alla città, Anni facili, Canzoni di mezzo secolo, Canzoni canzoni canzoni, Casa Ricordi, Maddalena e Ragazza d’oggi


Il primo lavoro che lo vede regista come responsabile della seconda unità è Tam Tam Mayumbe (1955). Collabora con Gianni Puccini per Parola di ladro (1957) e i due registi sono entrambi all’esordio dietro la macchina da presa. La coppia di registi ottiene ancora un buon successo di pubblico con Il marito (1958), interpretato da Alberto Sordi.  Primo film da solista. Audace colpo dei soliti ignoti (1959), intelligente sequel de I soliti ignoti (1958) di Mario Monicelli. Un giorno da leoni (1961) e Le quattro giornate di Napoli (1962) sono le prime opere che secondo la critica rivelano la spiccata personalità di Nanni Loy (si veda Roberto Poppi e Gianni Canova). Nel 1964 Nanni Loy approda in televisione per dirigere Specchio segreto, un programma che ha modificato il modo di fare intrattenimento televisivo. Gag create a tavolino mentre una telecamera nascosta dietro uno specchio segreto filma le reazioni delle persone alle provocazioni. 


Alcune gag da ricordare: il marito tradito, il fidanzato scemo, la zuppetta nel bar, il disoccupato che reclama diecimila lire davanti alla fabbrica e il balbuziente. Un successo enorme di pubblico, anche se la critica non è d’accordo perché rimprovera al regista di lavorare secondo sceneggiature studiate in precedenza. Il programma è un’idea originale di Nanni Loy che riveste un ruolo importante da attore - guastatore, una sorta di Candid Camera artigianale ispirato al programma statunitense. Tutti lo ricordiamo inzuppare il cornetto nel cappuccino dello sconvolto avventore di un bar per studiare le reazioni dell’italiano medio. Molti i lavori interessanti: Made in Italy (1965), Il padre di famiglia (1967), Rosolino Paternò soldato (1969), Detenuto in attesa di giudizio (1971),  Sistemo l’America e torno (1974), Signore e signori buonanotte (1976), Basta che non si sappia in giro (1976), Quelle strane occasioni (1976), Café Express (1979), Testa o croce (1982), Amici miei - Atto III (1982), Mi manda Picone (1983). 


Nanni Loy torna in televisione con la fiction Gioco di società (1989) e i suoi ultimi lavori per il cinema sono ancora due opere su Napoli come il musical teatrale Scugnizzi (1989) e la commedia ironica Pacco, doppio pacco e contropaccotto (1993). Gli ultimi lavori di Nanni Loy sono il film televisivo A che punto è la notte (1994) e la regia teatrale di Scacco pazzo (1994). In televisione ricordiamo il regista alle prese con buoni programmi di varietà come Il tappabuchi e il rievocativo Ieri e oggi. Nel 1970 interpreta Marcovaldo, dai racconti di Italo Calvino, per la regia di Giuseppe Bennati. Nanni Loy ha una buona attività come attore: Le belle famiglie, I complessi, Lettera aperta a un giornale della sera, Incensurato provata disonestà carriera assicurata cercasi, Tre canaglie e  un piedipiatti e Tre tigri contro tre tigri. Il regista - per tutta la vita grande tifoso della Lazio - muore a 69 anni a Fregene, il 21 agosto del 1995 e viene sepolto al cimitero del Verano, a Roma.    Le pellicole di Nani Loy si segnalano per un’intelligente critica di costume, mai qualunquista, che ci permettono di inserirlo nel ristretto gruppo di registi che meglio hanno saputo narrare i mutamenti avvenuti nell’Italia del dopo boom, fino ai primi anni Novanta.


Gian Piero Brunetta scrive: “Loy è soprattutto un regista che ama osservare gli altri, che descrive il dibattersi di personaggi comuni nelle ragnatele burocratiche, giudiziarie, esistenziali, come nella normale routine quotidiana, tentando di far sentire il senso della propria protesta civile con un tono di voce moderato, ma con pugno fermo. Mantiene nelle sue storie il gusto per l’accadimento imprevisto, lo stupore e l’ammirazione sia per la creatività italiana del vivere giorno per giorno che per la stupidità burocratico - istituzionale che assume proporzioni iperboliche. I suoi film mantengono l’imprinting stilistico - morale del cinema di Luigi Zampa, con cui Loy ha fatto l’apprendistato e come insieme aiutano a ricostruire il ritratto antieroico del viaggio dell’italiano medio lungo la storia di quest’ultimo cinquantennio. 


Il tempo lavora a favore dei film di questo regista, accentua il retrogusto amaro delle sue commedie, ma anche il tipo di coinvolgimento e di partecipazione affettiva alle avventure picaresche dei suoi protagonisti. Se da Zampa ha ereditato la vena di scetticismo, da Eduardo De Filippo il senso di una tradizione profonda, il desiderio di cogliere al di là del gioco delle maschere e degli stereotipi, dei meccanismi della commedia, il senso della perdita dello spirito della napoletanità, del degrado inesorabile dell’anima napoletana” (Storia del cinema italiano - vol.4 - dal miracolo economico agli anni novanta, pp. 309-310).

Gordiano Lupi scrive di cinema su Futuro Europa: http://www.futuro-europa.it/

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