martedì 3 gennaio 2017

Appunti su Massimo Dallamano







Massimo Dallamano (1917 - 1976) comincia come operatore di documentari e direttore della fotografia, prima di dedicarsi alla regia con una decina di pellicole abbastanza popolari. Ricordiamo l’erotico Le malizie di Venere (1969) con Laura Antonelli, il thriller Cosa avete fatto a Solange? (1972), il sexy Innocenza e turbamento (1974) e il poliziottesco La polizia chiede aiuto (1974). In questo pezzo parliamo di due pellicole ricche di riferimenti horror come Il Dio chiamato Dorian (1970) e Il medaglione insanguinato – Perché? (1975).




Il Dio chiamato Dorian (1970)  

Regia: Massimo Dallamano. Soggetto: Il ritratto di Dorian Gray (1890) di Oscar Wilde. Sceneggiatura: Marcello Coscia, Massimo Dallamano, Günter Ebert. Fotografia: Otello Spilla. Musica: Peppino De Luca, Carlos Pes. Montaggio: Leo Jahn, Nicholas Wentworth. Produzione: Samuel Z. Arkoff, Harry Alan Towers (Italia/ Germania/ Gran Bretagna). Interpreti: Helmut Berger, Herbert Lom, Richard Todd, Marie Liljedahl, Beryl Cunnigham, Margaret Lee, Isa Miranda, Eleonora Rossi Drago, Renato Romano, Stewart Black, Francesco Tens, Stefano Oppedisano, Renzo Marignano.  



Trama: Dorian, un bel giovane ricco e narcisista, ama Sybil, aspirante attrice. Il ragazzo posa per un ritratto che gli sta facendo il suo amico pittore Basil. Quando il ritratto finisce Dorian si rende conto  che lui dovrà invecchiare mentre il quadro resterà immutato nel tempo, ritraendo la sua bellezza. La notte stessa litiga con Sybil e la scaccia. Il mattino successivo scopre che la sua immagina nel ritratto appare leggermente stanca, come invecchiata. Dorian decide di nascondere il quadro e continua la sua vita viziosa, senza risparmiarsi. Invecchierà soltanto la sua immagine…  


La pellicola racconta la storia di Dorian Gray (Berger), ossessionato dalla possibilità di perdere la giovinezza e innamorato del suo ritratto, fino a vendere l’anima al diavolo per far invecchiare al suo posto il dipinto dall’amico pittore Basil (Todd). Dorian è un grande seduttore di uomini e donne, spinge al suicidio il suo unico vero amore che abbandona per un sogno di eterna giovinezza, commette omicidi e alla fine si suicida di fronte al ritratto divenuto mostruoso. Dallamano e Marcello Coscia realizzano la sceneggiatura di un film cupo e morboso, rielaborando Il ritratto di Dorian Gray (1890) di Oscar Wilde, ma in versione più ambigua e aggiornata rispetto al precedente lavoro di Albert Lewin (1945). Il cast è notevole, punta su un bello e maledetto come Helmut Berger, un vero e proprio angelo del male, ma anche su tante bellezze femminili come Marie Liljedahl, Margaret Lee, Beryl Cunningham e Maria Rohm. Non sono da sottovalutare le interpretazioni di Eleonora Rossi Drago e Isa Miranda. Ricordiamo misteriose soggettive iniziali e una suggestiva fotografia londinese, oltre a un’inquietante atmosfera onirica. Margaret Lee è un’affascinante e viziosa nobile che si invaghisce di Dorian, ma nella versione televisiva le concessioni erotiche sono minime, restano a livello di suggestione. Pellicola distrutta dalla censura - come accade al precedente Le malizie di Venere - per il tono cupo e l’erotismo malsano di cui è permeata. Helmut Berger è molto bravo nei panni di un mefistofelico amante assassino che concupisce le prede per poi liberarsene con efferati omicidi. L’attore austriaco è al suo quinto film italiano, dopo aver interpretato Le streghe (1967) e La caduta degli Dei (1970) di Luchino Visconti, ma anche i meno famosi I giovani tigri (1968) di Antonio Leonviola e Sai cosa faceva Stalin alle donne? (1968) di Maurizio Liverani. Il lancio definitivo era stato merito di Visconti e anche per questo motivo i giornali parlavano di una sua presunta ambiguità. Il suo personaggio è quello di un uomo perverso e affascinante, ma a un certo punto la sua vita diventa un incubo e viene assalito dal rimorso di aver perso l’unico vero amore. Il lato horror - misterioso viene sacrificato a vantaggio di una maggior attenzione al versante erotico. L’atmosfera è suggestiva, sia per la musica psichedelica anni Settanta, che per una commistione di temi che vanno dal fantastico - colto a una curata attenzione verso il mondo hippie e borghese del periodo storico. Fotografia anticata e nitida di Otello Spilla. Molto suggestivo l’incipit: “due mani tremanti, sporche di sangue, l’acqua che scorre da un rubinetto e cancella le tracce di un omicidio”. L’operazione estetica di Dallamano è difficile, se non impossibile. Il suo Dorian Gray non ha niente di innocente e di ingenuo, ma è un perverso Helmut Berger che si muove a suo agio nei night londinesi, subisce il fascino di uomini e donne, si lascia trasportare in una spirale di sesso e decadenza senza limiti. Molte le citazioni prese dall’opera di Oscar Wilde che impreziosiscono soggetto e sceneggiatura. Pare che il regista originario avrebbe dovuto essere Jesús Franco, per un film sicuramente nelle sue corde, soprattutto per le molte concessioni all’eros spinto, anche in versione omosessuale. incompiuto.


Il Dio chiamato Dorian è una pellicola sulla solitudine umana, esistenziale, psichedelica, che indaga sui fantasmi del passato e sulle colpe di un uomo che si è macchiato di delitti imperdonabili. La versione integrale del film è reperibile soltanto sul mercato tedesco. In Italia esistono diverse versioni, tutte più o meno tagliate, ma la più completa è uscita in dvd per Raro Video. Nel 2008 è uscita una produzione Minerva Video, facilmente reperibile. Nel 2012 è stata messa in commercio anche la colonna sonora del film, composta da Peppino De Luca e Carlos Pes, distribuita da CAM.


Il film presenta una location molto sfruttata del cinema italiano: Villa Giovannelli a Roma, un vero e proprio luogo comune del nostro cinema. Il Dio chiamato Dorian è il primo film girato in loco, ne seguiranno molti altri, da In nome del popolo italiano (1971) a Ti amo in tutte le lingue del mondo (2005). Molte location esterne sono londinesi, rappresentano la parte più interessante del film che sfrutta al meglio l’ambientazione inglese. Per approfondire si consiglia di consultare il Davinotti on line.


Rassegna critica. Rudy Salvagnini (Dizionario dei film horror): “Curiosa versione de Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde che punta, non senza fondamento, sull’erotismo e sulle depravazioni più che sull’orrore, restando quindi abbastanza in linea con gli intenti del romanzo. L’ambientazione contemporanea e la presenza del bello e maledetto per antonomasia - un Helmut Berger che sembra fatto apposta per il ruolo - rendono il film interessante, anche se l’andamento sin troppo prevedibile non aiuta” (due stelle e mezzo). Paolo Mereghetti: “I tempi non sono ancora maturi per un’operazione di aggiornamento del Dorian Gray classico, il risultato pare affrettato, superficiale, anche se non manca il divertimento pop, specie nell’uso delle attrici più attempate” (una stella e mezzo). Pino Farinotti concede due stelle ma non motiva. Filmscoop: “Il cast fa in pieno il suo dovere, il film è gradevole, si lascia guardare, ma non va oltre il mero esercizio di stile. Colpa di una trama risaputa che si discosta solo per un finale leggermente modificato”. Un film elegante, girato con cura, che concede molto all’exploitation e alla cultura psichedelica del periodo storico, ma non rinuncia a cercare la sua strada come pellicola d’autore. 


Il medaglione insanguinato – Perché? (1975) è interpretato da Richard Johnson, Joanna Cassidy, Nicoletta Elmi, Ida Galli, Edmund Purdom, Riccardo Garrone, Dana Ghia e Lila Kedrova. La storia narra le vicende di un regista inglese vedovo (Johnson) che sta girando un documentario sull’arte demoniaca, mentre la figlia (Elmi) viene catturata dalle forze maligne sprigionate da una pittura maledetta. La chiave del mistero sembra nascosta in un medaglione che il regista aveva regalato alla moglie e che adesso la bambina tiene con sé. La pellicola è ben diretta, ambientata nelle campagne umbre con gusto e suggestioni da horror edipico - satanico che rimandano con frequenza a L’esorcista (1973) di William Friedckin. Gli sceneggiatori sono Franco Marotta e Laura Toscano, oggi valenti autori di fiction televisiva. La fotografia è di Franco Delli Colli, mentre le ottime musiche sono di Stelvio Cipriani. Il film gode di una ben precisa originalità ed è caratterizzato da pregevoli parti oniriche che vedono protagonista Nicoletta Elmi (Emily). La piccola attrice è molto brava a tratteggiare il personaggio di una ragazzina innamorata del padre al punto di arrivare a uccidere tutte le compagne della sua vita. La pellicola si svolge tra Londra e Spoleto, ma è la cittadina umbra il luogo dell’orrore, tra vicoli stretti, antiche chiese cadenti e campagne nebbiose. La madre di Emily è morta bruciata, ma solo nel finale la bambina si rende conto che è stata lei a ucciderla, spinta dall’amore morboso per il padre. Il terribile abbraccio terminale tra Emily e il padre viene suggellato dalle parole: “Solo così potremo stare sempre insieme”. Una spada trafigge i due cuori in una stretta mortale. Un horror edipico in piena regola, cupo e disperato, inquietante e malinconico, che la stupenda colonna sonora di Stelvio Cipriani rende ancora più suggestivo. 


Il mio cinema, due volte a settimana, su Futuro Europa:
http://www.futuro-europa.it/dossier/cineteca

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